La SS. Annunziata di Firenze
L'INTERNO DELLA CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA DI FIRENZE
L'altar maggiore e le cappelle, le pitture e le sculture, la devozione dei Servi di Maria e dei fedeli
Il portico
L'ampio porticato in pietra serena
che s'apre sull'entrata della Basilica, fu eretto da Giovanni Caccini,
continuando il disegno dell'arco centrale di Michelozzo (1453). Lo stemma del
Papa Leone X campeggia su un dipinto molto deteriorato di lacopo Carucci detto
il Pontormo. Tutto il loggiato fu compiuto nel 1601, ed una iscrizione latina
che corre sopra gli archi, ricorda i nomi dei fratelli Alessandro e Roberto
Pucci che lo fecero costruire in onore della Vergine.
Sotto il porticato si aprono tre
porte quella centrale, che conduce nel chiostro dei Voti e per esso nella
Chiesa; quella del Chiostro Grande a
sinistra, e la porta dell'Oratorio di S. Sebastiano, a destra.
Sulla porta centrale, possiamo
ammirare un'Annunciazione in mosaico di David Ghirlandaio (1512)
Il
chiostro dei voti
Svelte colonne di ordine corinzio
reggono gli archi di un portico quadrilatero, iniziato nel 1447 su disegno di
Michelozzo di Bartolommeo.
Il
Chiostro servì per diverso tempo a raccogliere gli ex-voto e le immagini che i
fedeli offrivano alla Madonna in segno di gratitudine per le grazie ricevute. Di
qui il suo appellativo di Chiostro dei Voti.
Ma la sua nota
caratteristica consiste nell'essere divenuto come una palestra e un manifesto
artistico per un gruppo di giovani pittori fiorentini dei primi del sec. XVI i
quali assommano in sé quella ricerca inquieta, propria del periodo di
transizione che dall'arte di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, sfocerà poi nel
manierismo toscano. Non è puro caso se, sulle pareti bianche dcl Chiostro,
oltre ai due anziani Baldovinetti e Cosimo Rosselli, oltre al ventiquattrenne
Andrea del Sarto, trovano libertà di espressione giovani artisti come il
Pontormo, il Rosso fiorentino e il Franciabigio. Il mecenatismo dei Servi di
Maria per le arti in genere era proverbiale e si concretizzerà, sempre nello
stesso secolo, con il fattivo aiuto dato alla Compagnia delle Arti del Disegno,
da un artista dello stesso Ordine, Giovanni Angelo Montorsoli (v. Cappella dei
Pittori).
Sedici lunette si susseguono
sotto il porticato, e di queste, dodici furono affrescate quasi tutte nello
stesso periodo di tempo, perché i lavori dovevano essere fatti per l'otto
settembre del 1514, data della pubblicazione del Giubileo perpetuo concesso alla
nostra Chiesa da Leone X.
Le pitture a destra di chi
entra, svolgono scene ed episodi della vita della Madonna: l'Assunzione
(1513), è di Giovanni Battista Rosso fiorentino; la Visitazione (1515),
del Pontormo; lo Sposalizio di Maria (1514), dcl Franciabigio. I guasti
di questo affresco sono dovuti alla suscettibilità dello stesso artista, che
deteriorò la pittura in un momento di sdegno provocato dalla curiosità dei
committenti. Nelle due lunette che seguono, vi erano un tempo gli sportelli
dell'armadio dell'argenteria, dipinti dal Beato Angelico per la Cappella della
Madonna e ora al Museo di S. Marco. Al loro posto vediamo la Madonna della
Neve, altorilievo di marmo attribuito recente mente a Luca della Robbia. La
porta che è in questo lato è l'entrata laterale dell'oratorio di S.
Sebastiano.
Di Andrea del Sarto sono la Natività
della Vergine e il Corteo dei Magi (1513-1514). In quest'ultimo
affresco, nel gruppo delle tre persone a destra, l'artista ritrasse il suo amico
Iacopo Sansovino (che con la destra accenna), e Francesco d'Agnolo Aiolle
(musico famoso, insegnante di canto e composizione a Benvenuto Cellini) nella
figura intera che guarda verso di noi; nel volto in profilo, dietro le spalle
dell'Aiolle, eseguì l'autoritratto.
Le due acquasantiere di bronzo
sulle colonne davanti all'entrata principale della Chiesa, sono di Francesco
Susini (1615).
Dopo le due porte della chiesa,
troviamo l'Adorazione dei Pastori (1463) di Alessio Baldovinetti, opera
pregevole ma molto deperita nei colori.
Il ciclo narrativo della vita
di S. Filippo, occupa tutto il lato sinistro del portico. Il primo affresco
è di Cosimo Rosselli, pittore appartenente con il Baldovinetti alla vecchia
generazione, ma le altre cinque lunette sono tutte di Andrea del Sarto. Esse
rappresentano la Vestizione religiosa del santo del Rosselli (1475); S.
Filippo risana un lebbroso (tra le lunette, il busto in marmo di Andrea del
Sarto, opera del Caccini); i Bestemmiatori puniti; la Liberazione di
una indemoniata; Morte del Santo e risurrezione di un fanciullo; Devozione
dei fiorentini alle reliquie di S Filippo (nel vecchio, vestito di rosso, è
ritratto Andrea della Robbia.
Andrea del Sarto affrescò
queste sue cinque lunette tra il 1509 e il 1510. In soli sei anni (1509-15) il
Chiostro della Madonna (fatta eccezione per i due affreschi del Baldovinetti e
del Rosselli) raccoglieva e ci tramandava il meglio della pittura fiorentina del
sec. XVI.
Gli altri affreschi nei
pennacchi delle volte sono di Chimenti di Lorenzo, del Bechi, del Cinelli e di
Andrea di Cosimo.
Tutti gli affreschi del
Chiostrino sono stati staccati e restaurati nella seconda metà del secolo
scorso.
L'interno
della chiesa
Entrati in chiesa, la ricca
decorazione barocca ci lascia un istante a disagio, per il contrasto che nasce
con la purezza e la grazia rinascimentale del Chiostro dei Voti. Ma è un
attimo. Il soffitto meraviglioso del Volterrano, la profusione di marmi e
stucchi e dorature, le sfarzosità dell'insieme, non tolgono quel senso di
raccoglimento proprio ai luoghi sacri.
I grandi quadri in alto, tra
gli spazi dei finestroni, narrano i più famosi Miracoli della Madonna e
furono dipinti da Cosimo Ulivelli (1671), tranne il primo a destra che è di
Giovanni Fiammingo, e l'ultimo a sinistra, di Ferdinando Folchi. I cori
d'angeli sopra i due organi sono di Alessandro Nani a destra, e Alessandro
Rosi a sinistra
Le pitture dei medaglioni
(1693-1702) sono di Tommaso Redi, di Pietro Dandini, di Alessandro Gherardini, e
gli stucchi di Vittorio Barbieri, Carlo Marcellini e Giovanni Battista Comasco.
Da notare sopra il secondo medaglione a destra la grata dorata che chiude un
finestra orizzontale. È la ''finestra dei Principi'', dalla quale la famiglia
del Granduca, venendo dal Palazzo della Crocetta (oggi Museo Archeologico),
poteva assistere in privato alle funzioni liturgiche che si svolgevano nella
Cappella della Madonna.
La
cappella della SS. Annunziata Vedi
Le
cappelle a destra nella navata
Quasi tutte le cappelle della
Basilica, nacquero per iniziativa di ricche famiglie fiorentine che ambivano di
avere la propria sepoltura e il proprio stemma nella chiesa della Madonna.
Scomparso, poi, l’uso di seppellire nelle chiese, queste cappelle, invece di
mantenere il loro antico nome e patronato, furono chiamate col nome del Santo o
del soggetto sacro dipinto nella pala dell’altare.
Cappella di S. Nicola da Bari.
Appartenuta fin dal 1353 alla famiglia del Palagio, conserva a ricordo di questo
patronato una parte del trecentesco monumento tombale, ora internato nel muro di
sinistra. Taddeo Gaddi aveva affrescato le pareti con alcune scene della vita di
S. Nicola, ma nel 1623 Matteo Rosselli sostituiva queste pitture con i suoi
affreschi. La tavola dell’altare è di Iacopo Chimenti detto l’Empoli,
e rappresenta la Vergine con S. Nicola ed altri Santi. Anche i quattro
Evangelisti della volta, e i due episodi de/la vita di S. Nicola nelle
lunette, sono di M. Rosselli.
Cappella del Beato Giovacchino
da Siena, dell’Ordine dei Servi. Ne
ebbe il patronato, nel 1371, la famiglia Macinghi, come si legge ancora nella
lapide dinanzi all’altare. Nel 1677, al posto della tavola della Natività
di Nostro Signore, dipinta da Lorenzo di Credi (ora agli Uffizi), fu messa l’attuale,
il Beato Giovacchino di Pietro Dandini. Sulla parete sinistra è appeso
il Crocifisso in legno, già appartenente all’altare maggiore e
intagliato da Antonio e Giuliano da Sangallo nel 1483. Il monumento
sepolcrale al marchese Luigi Tempi, fu scolpito da Ulisse Cambi (1849).
Cappella dei Sette Santi
Fondatori dei Servi di Maria. In essa,
dal 1387, ebbe la propria sepoltura la famiglia Cresci. Nel 1643 Matteo Nigetti
disegnò la presente architettura, e la cupoletta fu affrescata da
Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, che raffigurò S. Lucia davanti
alla Trinità (alla Santa martire era prima dedicata la cappella). Il quadro
dei Serre Santi Fondatori fu qui collocato nel 1888 ed è del pittore
Niccolò Nannetti. Il monumento marmoreo a Fabrizio Colloredo è opera di Orazio
Mochi.
Cappella di S. Pellegrino
Laziosi dei Servi di Maria. Fu fondata
verso il 1425 e intitolata alla Pietà. Nel 1456 la cappella - che
presentava nell’ancona l’affresco di un Calvario (croce e 4 figure
ancora intatte dietro l’attuale tela) a sfondo di un gruppo in terracotta
della Pietà, del pittore e scultore Dello Delli -, passò in patronato
di Andrea di Gherardo Cortigiani. Nel 1675 Cosimo Ulivelli dipinse la tela dell’altare:
il Crocifisso che risana da cancrena S. Pellegrino. Il monumento di marmo
della parete di destra, in memoria del celebre medico Angelo Nespoli, è opera
di Lorenzo Bartolini (1840); quello a sinistra, di Lorenzo Nencini ricorda l’incisore
Luigi Garavaglia da Pavia (1835).
Cappella dell’Addolorata.
Fu edificata da Michelozzo intorno al 1450 per Orlando di Guccio Medici, di cui
vediamo sulla parete di sinistra il bel monumento marmoreo attribuito a Bernardo
Rossellino. Nel 1455 Andrea del Castagno dipingeva nell’ancona dell’altare
una S. Maria Maddalena piangente ai piedi della croce (oggi distrutta).
Al presente in una nicchia è collocata la statua della Madonna Addolorata. Prima
dell’alluvione essa era normalmente ricoperta da una tela di Raffaello Sorbi,
rappresentante S. Filippo Benizi al quale era stata dedicata la cappella
nel 1885. Sulla parete destra un grande monumento marmoreo della fine del sec.
XVI, raccoglie le ceneri di Tommaso Medici, condottiero della flotta del
granducato operante nel Tirreno.
Gli affreschi delle pareti sono
di Cosimo Ulivelli: nella volta i Sette Fondatori dell‘Ordine dei Servi di
Maria; nelle lunette: i BB. Martiri di Praga, il Martirio del B.
Benincasa e del B. Piriteo Malvezzi dello stesso Ordine dei Servi.
Cappella del Salvatore.
Si trova sotto l’organo di destra e risale almeno al 1486. Passata a Salvatore
Billi, fu adornata di marmi nel 1520 e sull’altare venne posta una tavola di
Fra Bartolommeo della Porta: il Salvatore, i quattro Evangelisti,
e ai lati: due quadri, con Isaia e Giobbe, sempre dello stesso
autore.
Così il Vasari
descrive la cappella: « ...Salvatore Billi mercante fiorentino, intesa la fama
di fra Bartolommeo ... gli fece fare una tavola, dentrovi Cristo Salvatore,
alludendo al nome suo, ed i quattro evangelisti che lo circondano ... sonvi
ancora due profeti molto lodati. Questa tavola è posta nella Nunziata di
Fiorenza sotto l’organo grande ... è intorno l’ornamento di marmi tutto
intagliato per le mani di Piero Rossegli ...» (Vasari, Vite, etc. vol. IV, p.
190, Firenze Sansoni 1906).
Queste
tavole furono tolte dal cardinale Carlo dei Medici (1556) e al loro posto furono
messe delle copie eseguite dall’Empoli. Attualmente la tavola del Salvatore
di fra Bartolommeo si trova alla Galleria dei Pitti, ed i due profeti
(pitture e disegni) sono agli Uffizi. La copia dell’Empoli si può vedere (e
non sappiamo perché non sia più alla SS. Annunziata) nell’antica chiesa
fiorentina di S. Iacopo tra i Fossi.
Fino alla piena del 1966 era
sull’altare una tavola di Maso da San Friano, con l’Ascensione di Gesù
al cielo. Al suo posto vediamo ora un mosaico di Anna Brigida,
rappresentante S. Antonio Pucci dei Servi di Maria, canonizzato nel 1962.
I due Angeli oranti sui lati, sono attribuiti all’Empoli.
La coppia di piccole colonne di
marmo a sostegno della mensa apparteneva all’altare della cappella dell’Annunziata
disegnato da Michelozzo (v. Cappella dell’Annunziata e cappella dell’Assunta
e S. Rocco).
Gli organi
Sopra la cappella del Salvatore
è un bellissimo organo con basamento e ringhiera scolpiti in marmo da
Piero Rosselli, mentre il prospetto in legno, ricco d’intagli e dorature è,
in parte, di Giovanni d’Alesso Unghero. Si tratta di un capolavoro del celebre
organaio del sec. XVI Domenico di Lorenzo da Lucca, che lo terminò nel 1521.
Una tela dipinta nel 1705 da Antonio Puglieschi con la Presentazione al
Tempio serve a coprire la mostra. L’organo, giunto fino a noi quasi
intatto, è stato sottoposto nel secolo scorso a restauro nella parte meccanica
e lignea, a cura della Soprintendenza delle Belle Arti.
Di fronte all’organo di
Domenico di Lorenzo, sul lato sinistro della navata, ve n’è uno simile
costruito da Cosimo Ravani da Lucca nel 634. Il basamento in marmo è scolpito
da Bartolommeo Rossi; la ringhiera di pietra tinta a marmo è di Alessandro
Malavisti; la parte lignea è intagliata da Benedetto Tarchiani; il progetto è
opera di Matteo Nigetti. Il pittore Giuseppe Romei dipinse la tela che ricopre
la mostra con la Morte di S. Giuliana Falconieri (1772). Ambedue
gli organi, nel 1763 furono ridotti alla medesima tonalità dal p. Bonfiglio
Vambré dei Servi di Maria.
Altri tre organi (v. recensione
in loco) si trovano nel coro, nella cappella della Madonna Annunziata e nella
cappella dei Pittori.
L’Ordine
della Madonna vanta una tradizione lunghissima di cultori della musica tra le
sue file. Fin dalle origini, si può dire, abbiamo testimonianze che ci parlano
di frati organai. Nessuna meraviglia che intorno all’altare della
Vergine fiorisse un’arte che è parte integrate del culto e del sentimento
religioso del popolo italiano. Già nel 1299 c’era nella chiesa di S. Maria di
Cafaggio un organo che venne poi sostituito, nel 1379, con l’altro voluto dall’architetto
fra Andrea da Faenza, generale dell’Ordine, il quale ne affidò il progetto ad
Andrea di Giovanni dei Servi, la costruzione a fra Domenico, frate basiliano di
Siena e il collaudo a Francesco Landino, detto il Cieco degli Organi.
Un altro
organo, meno di cento anni dopo, rimpiazzò quello di Andrea dei Servi, fino a
che non fu costruito quello di Domenico di Lorenzo da Lucca.
Di frati
musicisti possiamo ricordare lo stesso fra Andrea († 1415), poeta e
compositore di una parte dei madrigali conservati nel Codice Squarcialupi
alla Biblioteca Medicea Laurenziana, e che fu tra coloro i quali diedero
maggiore impulso all’Ars Nova fiorentina. Suoi discepoli, un fra
Antonio, un fra Biagio, un fra Gabriele, dello stesso Ordine e il pittore
Bonaiuto Corsini. Ma altri nomi di frati, che ebbero una certa fama nella
musica, troviamo nei secoli: Mellini (eletto da Leone X maestro della Cappella
Vaticana), Mauro, Berti, Borri, Braccini, Dreyer, Florimi, etc...
Come
dimostrazione viva di questo culto plurisecolare alla musica sacra nella nostra
Basilica, la Cappella Musicale è rimasta attiva dal 1480 fino all’alluvione
del 1966.
Cappella di S. Barbara,
a destra della crociera. Nel 1448 fu affidata alla Compagnia dei Tedeschi e dei
Fiamminghi che vivevano e lavoravano a Firenze. Oltre alla cappella essi
possedevano altre stanze e un oratorio, sempre sul lato destro della chiesa, e a
questi locali si accedeva da una entrata privata, posta nell’attuale via Gino
Capponi. Nel 1957, l’oratorio (chiamato fino a poco tempo fa Cappella degli
Sposi) servì ad aprire un’uscita secondaria alla chiesa.
Le altre stanze appartenenti
alta Compagnia dei Tedeschi, adibite in seguito a deposito di sagrestia, sono
state adattate alle nuove attività del Convento. Nella cappella di S. Barbara,
la Compagnia dci Tedeschi e dei Fiamminghi ebbe la propria sepoltura, ed ancora
ne rimane la lapide sul pavimento. Un’altra lapide in graffito ricorda
Arrigo Brunick, l’artista tedesco che sbalzò in argento il paliotto dell’altare
maggiore. Sul pilastro di sinistra, in alto, è il ritratto in marmo del
pittore belga Giovanni
Stradano.
Sull’altare, il quadro di S. Barbara
fu dipinto da Giuseppe Grisoni.
Cappella del SS. Sacramento
o di S. Giuliana Falconieri. Già
esistente nel 1350 e chiamata di S. Donnino, in essa ebbe la sua sepoltura la
famiglia dei Falconieri. La cappella venne poi detta della Concezione, per una
tavola di M. Rosselli, posta sull’altare (1605), e rappresentante la Vergine
Immacolata. Nel 1676 fu trasportato sotto l’altare ed esposto alla venerazione
dei fedeli, il corpo della Beata Giuliana, fondatrice delle Suore Mantellate
Serve di Maria. Dopo la canonizzazione della Santa fiorentina (1737), la
famiglia dei Falconieri decise di arricchire di marmi rari la cappella secondo
un progetto di Ferdinando Fuga, adattato da Filippo Cioceri, e nel 1767 i lavori
erano terminati.
La cupoletta e la tela
dell’altare sono di Vincenzo Meucci, e i due quadri laterali, Morte
di S. Giuliana e Morte di S. Alessio Falconieri sono di Giuseppe
Grisoni.
Nel 1937, in
occasione del secondo centenario della canonizzazione di S. Giuliana Falconieri,
i Servi di Maria del convento di Firenze, pensarono di sostituire alla vecchia
urna in legno dorato, che racchiudeva le reliquie della Santa, un urna in
bronzo, su disegno di Giuseppe Cassioli.
La guerra
impedì l’attuazione del progetto. Nel 1957, sempre su iniziativa della
Comunità di Firenze e con l’aiuto dei fedeli, vennero ripresi i lavori. Oltre
all’urna in bronzo (realizzata dalla ditta Bearzi di Firenze sul primitivo
disegno del Cassioli) veniva applicata al teschio della Santa una maschera di
plastica, opera dello scultore E. Bava. Sempre nello stesso anno si restauravano
anche i marmi dell’altare e di tutta la cappella, ad opera della ditta Tosetti
di Firenze.
Recentemente è stato collocato
sopra il ciborio dell’altare il Crocifisso delle Misericordie che la
tradizione collegava al Movimento dei Bianchi degli inizi del sec. XV. In
realtà, questo Crocifisso dipinto su tavola sagomata, è attribuito ad Alessio
Baldovinetti e datato intorno al 1456 (v. Cappella del Crocifisso).
Cappella della Pietà. Appartenne
dal 1340 alla famiglia Pazzi, ma nel 1559 passò allo scultore Baccio Bandinelli
e ai suoi discendenti. Il gruppo della Pietà è dello stesso Bandinelli
che si effigiò nel vecchio che sostiene il Cristo morto. Ma il suo vero ritratto
(insieme a quello della moglie) lo vediamo nella base posteriore del
monumento. La cappella rimase incompleta e disadorna per la morte del Bandinelli,
sopravvenuta breve tempo dopo la collocazione del "gruppo".
A proposito di
questa cappella, leggiamo nella autobiografia di Benvenuto Cellini che «il
detto Bandinello aveva inteso, come io avevo fatto quel Crocifisso, che io ho
detto di sopra; egli subito messe mano in un pezzo di marmo, e fece quella
Pietà che si vede nella chiesa della Nunziata».
Il
Cellini aveva scolpito il Crocifisso per la tomba che si era scelto in Santa
Maria Novella, ma trovò qualche difficoltà all’attuazione dei suo desiderio,
Quindi «subito mi volsi alla Chiesa della Nunziata, e ragionando di darlo in
quel modo (il Crocifisso), che io volevo a Santa Maria Novella, quelli virtuosi
frati di detta Nunziata tutti d’accordo mi dissono, che io lo mettessi nella
loro chiesa, e che io vi facessi la mia sepoltura in tutti quei modi che a me
pareva e piaceva. Avendo presentito questo il Bandinello, e’ si messe con gran
sollecitudine a finir la sua Pietà, e chiese alla Duchessa (Eleonora da Toledo,
moglie del Granduca Cosimo I) che gli facesse avere quella cappella che era dei
Pazzi, la quale s’ebbe con difficultà, e subito ch’egli l’ebbe con molta
prestezza ci messe su la sua opera; la quale non era finita del tutto, che egli
si morì». (B. Cellini, Vita, Firenze 1829).
Il Crocifisso
in marmo destinato dal Cellini a questa cappella, ora si trova all’Escurial
di Madrid. L’artista aveva ricevuto dai frati un altro luogo, sempre in
chiesa, per la sua sepoltura (così scrive Benvenuto a Benedetto Varchi, Vita,
vol. III, lettera XXIII), ma in realtà egli fu poi «sotterrato, per ordine
suo» nella cappella dei Pittori, nel Chiostro grande.
L'altare
maggiore
Fatti pochi passi dalla
cappella della Pietà, ci si presenta la mole maestosa e splendente di marmi del
presbiterio e dell’altare maggiore. Quest’altare naturalmente ha seguito nei
secoli le diverse trasformazioni subite dalla chiesa.
Forse lo
stesso Leon Battista Alberti, nel 1471 aveva dato il disegno dell’altare, per
il quale, nel 1483 Antonio e Giuliano da Sangallo scolpivano in legno il Crocifisso
ora collocato nella cappella di S. Gioacchino da Siena, Nel 1504 venne
alzato dietro la mensa e, a separazione dal coro, un arco ad
ancona in legno, lavoro pregevole ideato, si dice, da Leonardo da Vinci, e
realizzato da Baccio d’Agnolo. Il fornice era chiuso da due grandi dipinti:
dalla parte del Coro, una Assunzione del Perugino (ora sull’altare
della cappella dell’Assunta), e verso il corpo della chiesa una Deposizione
di Filippino Lippi, terminata però dal Perugino, perché la morte impedì
al Lippi di completarla (ora essa si trova nella Galleria dell’Accademia). Nel
1546 i due dipinti vennero tolti dall’altare e al loro posto fu collocato un
grande ciborio intagliato in legno da Filippo e Giuliano di Baccio d’Agnolo.
Nel 1655 Antonio di Vitale dei
Medici donava alla chiesa il Sancta Sanctorum d’argento, sormontato da
una croce di cristallo di rocca. Autore del Sancta Sanctorum è Alfonso
Parigi, ed esecutori Giovan Battista e Antonio Merlini. Il paliotto d’argento
dell’altare, disegnato da G. Battista Foggini fu eseguito ne 1682 dall’argentiere
fiammingo Arrigo di Bernardo Brunick. Nel rilievo centrale del paliotto è L’Ultima
Cena e ai lati sono episodi e personaggi simbolici dell’Eucarestia, tratti
dal Vecchio Testamento.
L’altare nella ricchezza dei
suoi marmi fu terminato nel 1704 su disegno di Giovacchino Fortini, al quale
appartengono le sculture dei gradini della mensa, il piede e gli angeli
in marmo del grande ciborio d’argento, le statue di S. Filippo Benizi e
di S. Giuliana Falconieri (1705) sopra le due porte del coro e il disegno
dei cherubini in bronzo dorato sulle stesse porte.
Ai lati del presbiterio, sono
due edicole monumentali in marmo di Giovanni Caccini, con le statue di S.
Pietro e S. Paolo. Il S. Pietro, gli angeli e i puttini sono opera di
Gherardo Silvani, sempre su modello del Caccini. Sul pavimento, sotto la statua
di S. Pietro, una lapide ci mostra il luogo ove fu sepolto Andrea del
Sarto.
Addossati ai pilastri che
reggono la cupola e formano l’arco del presbiterio, due monumenti sepolcrali
in marmo di Carrara, racchiudono le spoglie di Mons. Angelo Marzi-Medici, a
sinistra, e del senatore Donato dell’Antella, a destra. Il primo monumento è
opera di Francesco di Giuliano da San Gallo (1546); l’altro, di Giovanni
Battista Foggini (1702).
Cappella di S. Filippo. Proseguendo
lungo la crociera, troviamo la cappella di S. Filippo Benizi. Le sue prime
notizie risalgono al 1464 con il titolo di S. Giovanni evangelista. Nel 1671,
anno della canonizzazione di S. Filippo, fu restaurata ed abbellita. La tavola
dell’altare che rappresenta il Santo in gloria e il piccolo quadro di
S. Giovanni Evangelista, sono del Volterrano.
Questa cappella fu sempre
patronato della famiglia dei Tedaldi.
Le cappelle della tribuna
Saliti i due scalini e passati
sotto l’arco che s’apre a sinistra della cappella di S. Filippo, entriamo
nel vestibolo di sagrestia, che ha sul fondo il passaggio (1937) alla
tribuna. Questo vestibolo, creato da Michelozzo, fu trasformato nel 1625 in
cappella della Presentazione, di cui rimane ancora l’architettura, al posto
dell’altare.
Le due piccole statue in pietra
nelle nicchie laterali, sono di autore ignoto. Il tondo sopra il vano è lo
stemma di Parte Guelfa. A destra, un busto di stucco, qui posto nel 1592, ci
tramanderebbe la vera effigie di S. Filippo Benizi, come dice l’iscrizione
della lapide.
Cappella della Natività.
Passati nella tribuna, abbiamo a destra la cappella della Natività della
Madonna, che fu eretta nel 1471 dalla famiglia dei dell’Antella. La sua
architettura è dell’anno 1600 su disegno dello scultore fiorentino
Bartolommeo Rossi. Il grande quadro dell’altare, la Natività della Vergine
(1602), è tra le opere più famose di Alessandro Allori, discepolo del
Bronzino. Sulle pareti, altri quattro pregevoli dipinti narrano alcuni fatti
della vita di S. Manetto dell’Antella, uno dei sette Fondatori dell’Ordine
dei Servi di Maria. Il primo dipinto in alto a destra di chi guarda è di Iacopo
Ligozzi, e rappresenta Il Santo al piedi del Papa Clemente IV. Quello
inferiore, S. Manetto che risana uno storpio, è di Cristoforo Allori,
figlio di Alessandro (nel vecchio che guarda verso di noi Cristoforo ritrasse il
padre; l’altare che vi notiamo è l’altar maggiore della Basilica, con l’antico
arco trionfale di Baccio d’Agnolo). A sinistra, il primo quadro in alto è di
Alessandro Allori; in esso vediamo: i Sette Santi Fondatori diretti a
Montesenario. Sotto, S. Manetto eletto Generale dell’ordine, è
di Domenico Cresti detto il Passignano. La volta fu affrescata da Bernardino
Poccetti, che vi rappresentò il Paradiso.
Cappella di S. Michele
Arcangelo. Appartenuta dal 1470 alla
famiglia dei Benivieni passò poi a quella dei Donati che la restaurava nel
1666. Sia il quadro dell’altare, la Vergine e S. Michele (1671), che i
due laterali, S. Carlo Borromeo e S. Maria Maddalena dei Pazzi, sono
del pittore Simone Pignoni. Gli affreschi della volta sono di Cosimo Ulivelli.
Cappella di S. Andrea Apostolo.
Fu eretta nel 1456 da Francesco Romoli dei Bellavanti; ma nel 1721 ne ebbe il
patronato la famiglia dei Malaspina che la restaurava nel 1726. La tavola dell’altare,
Madonna e Santi, è detta comunemente del Perugino; di ignoto sono i due
quadri laterali rappresentanti il Martirio di S. Andrea.
Cappella della Risurrezione.
Così chiamata dalla pala dell’altare di Agnolo Bronzino. Pietro del Tovaglia,
procuratore e tesoriere in Firenze de marchese Lodovico Gonzaga di Mantova
(colui che fece proseguire con il suo aiuto finanziario i lavori della tribuna),
fu il primo patrono della cappella, ma nel 1552 il patronato veniva assunto
dalla famiglia Guadagni che la restaurava nel 1742. Oltre il dipinto del
Bronzino, degna di nota è la statua di S. Rocco, in legno di tiglio di
Veit Stoss. Il S. Francesco di Paola, in marmo, nella nicchia di fronte
è di Giuseppe Piamontini (1700).
Cappella della Madonna del
Soccorso. Nel 1444 mentre si innalzava
la tribuna, la famiglia dei Pucci pensava di erigere qui la sua cappella. Ma
terminata la tribuna con gli aiuti finanziari del Marchese di Mantova, questi si
riservò il patronato della cappella che, in seguito era ceduto alla famiglia
Dolci, e quindi, nel 1599, passava al famoso scultore Giambologna. L’architettura
in pietra serena e il Crocifisso in bronzo, sono dello stesso Giambologna,
e a lui appartengono anche sei bassorilievi in bronzo, con scene
della Passione. Le statue invece (in marmo soltanto le due della parete
di fondo, che rappresentano la Vita attiva e la Vita contemplativa), sono
del suo allievo Pietro Francavilla. Le altre di stucco, Angeli e Apostoli, sono
di Pietro Tacca.
Sull’altare, rifatto in marmo
e decorazioni bronzee nel 1749, la tavola della Madonna del Soccorso, da
cui prende il nome la cappella, sembra sia di Bernardo Daddi. Dietro l’altare,
al di sopra del sarcofago che racchiude le spoglie del Giarnbologna e del
discepolo Pietro Tacca, è il quadro della Pietà di Iacopo Ligozzi.
Degli altri due dipinti, la Risurrezione è opera del Passignano, e la Natività
di Cristo di Giovanni Battista Paggi.
Cappella di S. Lucia (già
dei SS. Martiri e S. Francesco). Prima appartenne alla famiglia del Giocondo, ma
nel 1723 passò a quella degli Anforti che la restaurava nel 1727.
Sull’altare vi era un tempo
il quadro delle Stimmate di S. Francesco di Domenico Puligo (ora alla
Galleria Pitti), poi vi fu posto quello dei Sette Santi Fondatori (ora
nella cappella omonima), e infine l’attuale S. Lucia, di Iacopo
Vignali. I due quadri delle pareti, Storia di SS. Martiri e S. Francesco, sono
di autore ignoto.
Cappella del Cieco Nato.
Questa cappella prende il nome dal quadro del Passignano, che rappresenta
il miracolo operato da Cristo al cieco nato. Nel 1534, erano patroni
della cappella i della Scala, e nel 1604 i Brunaccini. Sempre del Passignano si
dico sia l’architettura della cappella. A destra l’Adorazione del cieco
nato è dell’Empoli; il quadro di sinistra, di Piero Sorri senese;
le pitture della volta, di Ottavio Vannini.
Cappella di S. Caterina.
I primi patroni di questa cappella furono i Bardi, quindi gli Accolti e nel 1612
Buontalenti, che l’adornarono su disegno di Gherardo Silvani. Il quadro dell’altare
che rappresenta le Nozze mistiche della Santa con il Cristo (1642) è di
Giovanni Bilivert, e i due laterali, S. Maria Maddalena e S.
Margherita da Cortona con gli affreschi della volta, sono del Vignali.
Cappella di Sant’Anna.
Questa cappella appartenne alla famiglia Giacomini-Tedalducci. Nel 1543 veniva
dipinto, da Antonio Mazzieri, il quadro di S. Anna, con i SS. Stefano,
Lorenzo, Filippo Benizi e Giuliana Falconieri.
Il
coro e la cupola
Tornando indietro dalla
cappella di S. Anna soffermiamo la nostra attenzione sul Coro che
costruito da Michelozzo nel 1444 in forma circolare, ebbe nel 1668 l’attuale
sistemazione esterna ad opera di Alessandro Malavisti su disegno di Pier
Francesco Silvani. La porta centrale con il gruppo della Carità (stucco)
è del Giambologna (1578). Altre sei statue in marmo posano sulla spalletta del
recinto. A sinistra (guardando l’altare maggiore) la prima che rappresenta S.
Filippo Benizi è attribuita a fra Vincenzo Casali Servita; il Redentore,
S. Gaudenzio e (dopo la porta del coro) il S. Girolamo sono di
Giovanni Angelo Montorsoli Servita (c. 1542); l’Addolorata è di
Alessandro Malavisti (1666), il B. Lottaringo della Stufa è di Agostino
Frisson (c. 1668). All’interno del coro il pavimento di marmo risale al 1541;
gli stalli di noce su modello dei precedenti, intagliati da Giovanni d’Alesso
Unghero nel 1538 furono rifatti nel 1846. L’organo fu costruito da Carlo
Vegezzi-Bossi nel 1912, ma dopo la piena del 1966, la consolle, conpletamente
rifatta da Giovanni Bai, fu sistemata nel presbiterio (1969). I due leggii di
ottone, con aquila ad ali spiegate, sono opera pregevole del XIV e XV
secolo. Del più antico è stata riconosciuta la provenienza inglese. Il grande
leggio in noce al centro del Coro è di Antonio Rossi (1852).
La Cupola fu dipinta dal
Volterrano in soli tre anni (1680-83) L’autore intese esaltare l’Assunzione
della Vergine Maria che, tra una folla di santi del Vecchio e del
Nuovo Testamento, viene sollevata dagli Angeli al trono dell’Altissimo.
Prima di uscire dalla tribuna
attraverso il vestibolo della sagrestia, possiamo soffermare la nostra
attenzione sui piccoli quadri della Via Crucis appesi ai pilastri, che
sono attribuibili al pittore Luigi Ademollo (c. 1828).
La
sagrestia
Tornati dalla tribuna nel
vestibolo, troviamo a destra un breve corridoio che conduce alla cappellina
delle Reliquie e alla Sagrestia.
Nella Cappellina delle
Reliquie, detta così perché negli armadi a muro si conservano molte
reliquie di Santi), il Passignano scelse la sua sepoltura e dipinse a olio sul
muro dell’altare (1622) la Vergine e Santi e nella volta un volo di angeli.
La Sagrestia fu iniziata
da Michelozzo nel 1445 e la sua architettura non ha subito fino ad oggi
trasformazioni di rilievo. La Parte Guelfa che ne aveva sostenuto le spese, vi
fece apporre nelle volte il suo stemma (l’aquila che artiglia un drago), e vi
custodiva, dentro un bellissimo armadio a muro, il proprio archivio segreto, come
ci informa Giovanni Villani nelle sue Croniche (libr. VII, cap. XVII). Di
questo armadio, demolito nel 1570, è rimasto solo il frontespizio intagliato da
Salvi Marocchi su disegno di Michelozzo, e che ora fa da portale all’entrata.
I due grandi lavabo di marmo, opera di Giovacchino Fortini, provengono
dal convento e furono qui collocati durante il restauro che interessò tutta la
sagrestia: pavimento, altare, porte laterali, finestrone, armadi, bancone
centrale (1766). Dello stesso periodo è la decorazione di Pietro Giarré, le
statue di terracotta di Pompilio Ticciati (sopra gli armadi): l’orologio a
muro è di fra Giovanni Poggi Servita. Il quadro dell’altare con Gesù
morto e i due Beati dei Servi è di Cesare Dandini (1625), ed era stato
dipinto per la Cappella della Presentazione (il vestibolo di sagrestia)
ora soppressa.
Le
cappelle a sinistra nella navata
Cappella del Crocifisso.
Tornati in chiesa, nella crociera di sinistra è la cappella del Crocifisso. Qui
era la vecchia sagrestia, prima che fosse edificata quella di Michelozzo.
La vecchia sagrestia nel 1445, divenne cappella padronale della famiglia
Villani, della quale si conserva ancora, sul pavimento, la lapide sepolcrale.
Sull’altare il Crocifisso in legno, è uno di quelli detti del Movimento
dei Bianchi (1400). Questa immagine che era collocata in una cappella della
nostra chiesa dedicata a S. Martino, era molto venerata nella prima metà del
secolo XV. Nel 1453 essa passò in dote della famiglia Villani che la accettò a
condizione che mai più fosse rimossa dalla propria cappella. Venne così
dipinto da Alesso Baldovinetti il Crocifisso delle Misericordie (v.
cappella del Sacramento) al quale si tributò l’antica denominazione di
Crocifisso dei Bianchi.
Ai piedi del Crocifisso ligneo,
due pregevoli statue di terracotta a grandezza naturale, la Vergine e S.
Giovanni Evangelista della metà del sec. XV) furono qui poste nel secolo
XVII. Negli ultimi decenni sono state restaurate riportando alla luce i colori
originali e sistemate nel convento.
La tela che a volte ricopriva l’ancona
fu dipinta nel 1855 da Ferdinando Folchi, e rappresenta una Deposizione. La
decorazione in finta architettura (1746) è di Giuseppe Sciaman, e la volta, di
Vincenzo Meucci. La grande statua in terracotta del San Giovanni Battista sembra
sia il modello del S. Giovanni ideato da Michelozzo (1452) per il dossale dell’altare
del Battistero (ora al Museo dell’opera del Duomo). Il fonte battesimale è
opera dell’architetto Giuseppe Cassioli (1958); il bel paliotto dorato dell’altare
e l’urna che accoglie il Santo martire Fiorenzo, sono di Luca
Boncinelli (1689). Altre
notizie.
Scesi i due gradini della
Cappella del Crocifisso, troviamo a destra una porta che conduce nel Chiostro
Grande. Vicino a questa porta, è la cappella di S. Biagio.
Cappella di S. Biagio.
Al suo posto era un tempo (aperta nel campanile dell’antica chiesa) la
cappella di S. Ansano. Infatti si conserva (non visibile di
chiesa), tra la pala d’altare attuale e la scaletta dell’organo un affresco
con il martire senese, di Bicci di Lorenzo (1440). La tela di S. Biagio ed
altri Santi martiri è del secolo XV ma di autore ignoto, mentre di Iacopo
Vignali sono le due piccole tele dei SS. Pietro e Paolo. La volta fu
affrescata dal Volterrano, che vi effigiò una S. Cecilia in mezzo a uno
stuolo di angeli musicanti. Il pararnento di marmi della cappella è opera di
Alessandro Malavisti.
Cappella dell’Organo.
Essa era un tempo dedicata a S. Rocco e sull’altare si vedeva la statua in
legno del Santo che ora è nella cappella della Risurrezione, dietro il coro.
Essendo stato costruito l’organo nel 1634, la cappella fu affidata alla
famiglia Palli che pensò alla ricca decorazione marmorea a opera di Bartolomeo
Rossi, e fece dipingere a Cesare Dandini il quadro dell’altare, La Vergine
Assunta che protegge Firenze.
Cappella dell’Assunta.
La famiglia dei da Rabatta fu la patrona della cappella fin dal 1451, al tempo
dei lavori della tribuna. Essa venne restaurata nel 1667. L’Assunzione di
Maria del Perugino, fu qui trasportata dall’altare maggiore dove prima si
trovava. Sulle pareti, il David e Golia e l’Arca Santa sono di
Luigi Ademollo (1828).
Sull’altare di Questa
cappella, in una nicchia di pietra serena, era il S. Giovanni che abbiamo
visto nella cappella del Crocifisso.
Cappella della Crocifissione.
Fu patronato dal 1450, della famiglia del Gallo. Sull’altare il fiammingo
Giovanni Stradano dipinse la tavola della Crocifissione, dalla quale
prende il nome la cappella. I due affreschi dei profeti Isaia e Abacuc
sono di ignoto, la Resurrezione di Lazzaro, nella parete destra è di
Nicola Monti (1837). Nella parete di sinistra, la grande tavola del Giudizio
Universale, copia di un particolare del Giudizio di Michelangelo, è
di Alessandro Allori, ed era già sull’altare della cappella di S. Girolamo.
Cappella di S. Girolamo. Nel
1451 il Convento cedeva alla famiglia Corboli questa cappella. Fino a poco tempo
fa essa era chiamata del Giudizio Universale, per la tavola di Alessandro
Allori, posta sull’altare, ma rimesso in luce (1933) il bellissimo affresco
del S. Girolamo di Andrea del Castagno (1454 c.), la cappella ha ripreso
il suo antico nome.
Gli affreschi delle pareti, i Profanatori
scacciati dal Tempio, Gesù tra i dottori (notare il ritratto di
Michelangelo Buonarroti, del Pontormo ed altri artisti e personaggi dell’epoca),
e quelli della volta, il Paradiso terrestre, Profeti e Sibille, Annunziazione,
Natività, Presentazione di Gesù al Tempio, Fuga in Egitto sono di
Alessandro Allori.
Cappella di S. Giuliano o di S.
Giuseppe. Fu eretta nel 1451 e Andrea
del Castagno vi affrescava, tra il 1455 e il 1456, il S. Giuliano. Nel
fastoso restauro, ricco di marmi e stucchi, eseguito da Giovanni Battista
Foggini (1693), fu messa sull’altare la tela del Transito di S. Giuseppe,
del bavarese Giovanni Carlo Loth. Sui due monumenti sepolcrali, della famiglia
Feroni, patrona della cappella, la statua di S. Francesco è del
fiorentino Camillo Cateni, quella di S. Domenico, di Carlo Marcellini. Le
altre sono degli scultori Francesco Andreozzi, Isidoro Franchi, Giuseppe
Piamontini; i medaglioni di bronzo dorato sono di Massimiliano Soldani Benzi.
Fine lavoro di cesello è la lampada
d’argento (1694) che pende dall’arco della cappella.
Si può accedere al
Chiostro grande anche dall’interno della chiesa, passando dalla porta
laterale della crociera di sinistra.
Vedi anche:
Storia del Santuario
Cappella
della Madonna
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