La SS. Annunziata di Firenze
L'AFFRESCO, L'IMMAGINE E L'EDICOLA DELLA MADONNA ANNUNZIATA
Si hanno notizie
sicure di un altare nella chiesa con l'immagine di Maria SS. Annunziata fin dal
1341. Da questa data i documenti non fanno che parlare di offerte, di lampade,
di ex-voto e quindi dell'istituzione dell’Opera che doveva presiedere ai lavori di abbellimento o restauro nella Cappella
dell'Immagine prodigiosa. Ancora oggi possiamo ammirare, nella sua particolare
bellezza, l'affresco che ha dato origine alla fama del Santuario.
Racconta
la leggenda che i Servi di Maria fecero dipingere l’affresco della loro ‘Vergine
Gloriosa’ nel 1252, quando cioè nasceva la chiesa di S. Maria di Cafaggio. E
il compito importante sarebbe stato affidato a un certo pittore chiamato Bartolommeo
il quale mise tutta la sua perizia e la sua fede nel rappresentare degnamente la
scena dell’Annunciazione. Ma il devoto artista, nel delineare il volto della
Madonna fu preso da sgomento e sfiducia nelle sue capacità e dopo diversi
tentativi che lo lasciavano sempre più insoddisfatto cadde in una strana
sonnolenza. Al suo risveglio, il miracolo era compiuto e nell’affresco egli
ammirava quel capolavoro di fede, che dopo sette secoli continua a meravigliare
artisti e fedele. Quivi - dirà Michelangelo Buonarroti - non è arte
di pennelli, onde sia stato fatto il volto della Vergine, ma cosa divina
veramente (Francesco Bocchi, L’immagine della SS. Annunziata, Firenze
1592, p. 80).
Tutta
la Toscana, tra secoli XIII e XIV fu un centro di devozione alla Madonna. Siena,
Firenze, Pisa, Lucca, guelfe o ghibelline, vivranno le loro lotte di libertà e
di predominio politico mettendo le proprie aspirazioni sotto la protezione della
Madre di Dio.
E
gli artisti, nelle chiese, nelle edicole agli angoli delle strade, sulle porte
ferrate della loro città, ci tramanderanno una documentazione artistica di
questa viva devozione dell’epoca. Ma la scena evangelica che più attraeva
pittori, era l’Annuncio dell’angelo alla Fanciulla di Nazareth
Per
i fiorentini, dilaniati da lotte politiche e spirituali, questo soggetto doveva
essere ricco di particolari significati. L’angelo del Vangelo aveva recato
alla Vergine di Nazareth l’annunzio di un’era novella. L’umanità con la
nascita del Cristo, segnava una svolta nella storia e per Firenze la Vergine
Annunziata era come la buona novella, come la sintesi, il simbolo e l’ideale
di una spiritualità rinnovata. Basta ricordare Dante e i suoi versi nella Divina Commedia (Purgatorio, X, 34-35), per capire che i fiorentini nel duecento
coglievano dal racconto dell’Annunciazione un programma spirituale in netto
contrasto con la durezza dei tempi: "pace’’, al posto di guerre che non
avevano sosta; fiducia nella intercessione della Vergine "che ad aprire l’alto
amor volse la chiave"; contro la mancanza di fiducia nelle relazioni umane,
divenuta regola di saper vivere, richiamo all’umiltà "Ecce ancilla
Dei", contro l’ambizione sfrenata che avvelenava la vita in comune. E la
Madonna dipinta a Santa Maria di Cafaggio dall’ignoto pittore Bartolomeo, non
è un documento inferiore a quello degli altri pittori e ai versi danteschi.
Anche
se lasciamo da parte la nostra leggenda, è certo che i pittori fiorentini
chiamati a dipingere nella prima metà del Trecento l’annunzio dell’angelo
alla Vergine, non sanno dimenticare l’affresco di Santa Maria di Cafaggio,
sebbene non riescano a raggiunger mai quella intuizione di poesia e fede che
sono raccolte in essa.
L’angelo è entrato appena da qualche
istante. L’aureola, la raggera dorata, lo svolazzare del manto, le ali ancora
in moto nel vano della porta (più che una certa durezza di tratti nel volto),
ci danno la sua qualifica di creatura celeste. Egli ha già salutato "la
piena di Grazia", ‘le ha cancellato il timore iniziale, ha spiegato il
mistero d’una verginale maternità, ed ora sta umile, silenzioso, chino sotto
il suono di quelle parole che decideranno del destino finale della creatura
umana
La Vergine siede su uno scanno intarsiato.
Ha interrotto la lettura di Isaia, e il libro aperto sulla cassapanca,
appoggiato a un cuscino, cene suggerisce il passo: Ecce virgo concipiet... Un
raggio di luce diagonale congiunge il suo seno con il gruppo dell’Eterno
Padre, in alto, nella striscia azzurra di cielo, a sinistra dell’affresco.
E l’ingenuità del pittore, per dare
movimento alla risposta della fanciulla di Nazareth, scrive sopra il raggio le
parole (che a noi si presentano come viste nello specchio) Ecce ancilla
Domini.
Ma la Vera risposta è in tutto l’atteggiamento
della Vergine. Il suo corpo è sintesi di movimento e di attesa. Una curva
delicata, uno slancio, dirige il suo busto verso l’alto,
accompagnando il Volto, lo sguardo, la linea tenue del collo e dei capelli
biondi. E il seno vergine, come una conchiglia aperta nel risvolto bianco del
manto, e le braccia abbandonate, ma non rigide, lungo la vita, e le mani unite e
posate con grazia sulle ginocchia, sono come parole di attesa: un’attesa anch’essa: Fiat mihi secundum
Verbuum tuum.
La leggenda ci parla della bellezza del
volto, ma è tutta la persona della Madonna che ci conduce con
"equilibrio" a questo volto, che è un esempio concreto delle
relazioni che devono legare la creatura al suo Creatore.
Non paura e sbigottimento, come
rappresenteranno spesso i pittori dei secoli successivi, ma gioia calma e
sorella; non sottomissione penosa, ma aperta accettazione e ferma adesione alla
volontà divina; non posa e ricercatezza, ma sincerità cosciente. In questa
Madonna è l’esempio più vero della creatura "intera’’, ricostruita, nel suo
valore iniziale, dalla Redenzione. Questo volto nel quale, lungo i secoli, i
devoti leggono la propria storia e la propria salvezza, spiega, più della
leggenda, l’affollarsi dei pellegrini e il fiorire di grazie e miracoli
all’altare della Madonna di Firenze.
Tanta devozione provocò nel corso dei
secoli vari interventi di ammodernamento e restauro nella cappella della
Madonna, come dimostrano le diverse consacrazioni dell’altare, il 13 gennaio
del 1443 da parte di Eugenio IV; il I gennaio del 1452 dal Cardinal Estouteville;
il 14 ottobre del 1628 dal Cardinal Ludovisi, arcivescovo di Bologna.
Nel 1447 i frati Servi di Maria, con l’aiuto
di Piero di Cosimo dei Medici, decisero di innalzare l’attuale tempietto che
fu terminato nel 1448 su disegno di Michelozzo ed esecuzione di Pagno di Lapo
Portigiani. L’edicola è composta di quattro colonne corinzie di marmo di
Carrara, alte m. 5,25, che reggono la trabeazione intagliata riccamente, mentre
nel fregio sono scolpiti festoni, nastri e simbolici medaglioni. Il soffitto
della cappella, in marmo, con dorature e smalti pregiati proviene probabilmente
dalla bottega di Luca della Robbia. Chiude l’edicola in reticolato di bronzo,
opera di Maso di Bartolomeo (1447), e sopra il tempietto s’innalza una specie
di cuspide barocca, intagliata in legno da Luca Boncinelli su disegno del
Volterrano (1674). Vedi l'articolo Ancora
sull'Annunziata e Lorenzo il Magnifico
L’altare, fatto costruire in marmo dallo
stesso Piero dei Medici, si trova al presente al Museo Bardini: esso aveva la
forma di urna romana, sulla quale poggiava la mensa sorretta da quattro
balaustre che ora vediamo nelle due cappelle degli organi. Nell’anno 1600 il
Granduca Ferdinando I faceva sostituire l’altare di marmo con quello attuale,
sbalzato in argento da Egidio Leggi. Nel bassorilievo centrale è rappresentato
Cosimo, figlio del Granduca, che ringrazia la Vergine Annunziata per essere
stato guarito da una grave malattia. Quasi tutta la decorazione d’argento
della cappella e che incornicia l’affresco, ha subito nei secoli restauri e
rifacimenti. La parte più antica consiste nel Fregio con simboli riguardanti i
privilegi della Madonna e la cortina che simula un tendaggio di stoffa
finissima, ideata da Giulio Parigi ed eseguita da Cosimo Merlini (1629). I due
angeli che in alto sorreggono la corona sono dello scultore Stefano Ricci e
dell’argentiere Vincenzo Scheggi (1816); i due bracci d’argento alle colonne
furono donati da Leopoldo II di Toscana nel 1839; i grandi candelieri ai lati
dell’altare (disegno di Luigi Sabatelli) sono del 1820. Infine la pesante
cateratta d’argento che serve a chiudere l’affresco ci ricorda la devozione
dell’ultima Granduchessa di Toscana Maria Antonietta e del consorte Leopoldo
Il.
Molte lampade preziose e finemente
lavorate, si vedono appese dentro e intorno alla cappella, ma due
particolarmente sono degne della nostra attenzione. La prima a sinistra dell’Immagine
fu posta dai fiorentini in ringraziamento per lo scampato pericolo del terremoto
del 1895; la seconda (che pende dall’architrave a sinistra), è una originale
lampada dello scultore De Angelis, rappresentante il mistero dell’Annunciazione,
offerta nel 1952 a chiusura delle feste centenarie dell’incoronazione dell’immagine
da parte del Capitolo Vaticano (8 settembre 1852), per attestare la
presenza devota e filiale della città alla Vergine, anche nel nostro secolo.
S. Giuliana Falconieri, S.
Caterina dei Ricci, S. Carlo Borromeo che fece fare una
copia della Immagine miracolosa, da porre nel Duomo di Milano), S. Luigi Gonzaga,
S. Teresa di Lisieux, ecc., pregarono in questa cappella e furono devoti della Madonna dei fiorentini. Prima di lasciare questo
luogo, ricordiamo che ancora oggi i fiorentini e gli abitanti della provincia,
si riversano in folla, il 25 marzo (Annunciazione) e l‘8 settembre
(Natività di Maria), ai piedi della loro Madonna. In queste occasioni il
sindaco della città con il gonfalone e la Giunta comunale (secondo una vecchia
tradizione) assiste alla ‘Messa solenne’, mentre il Cardinale Arcivescovo,
chiude la giornata con la Funzione serale.
Secondo una gentile usanza, ogni giorno, coppie di
giovani sposi vengono a deporre mazzi di fiori e a pregare la Vergine affinché
protegga maternamente i nuovi focolari; e in primavera, i fanciulli della Prima
Comunione, riempiono la cappella di gigli e di rose.
Piero dei Medici e i suoi successori non
intesero mai di avere diritti di patronato sulla cappella della SS. Annunziata.
Infatti per sé e per la famiglia Medici, Piero di Cosimo fece adattare ad oratorio
o coretto l’ambiente a destra dell’edicola, contiguo alle
cappelle di questo lato della chiesa. L’inizio dei lavori è del 1453, ma dopo
un periodo di stasi, essi ebbero termine solo nel 1463. L’intaglio dei marmi
dell’arco che unisce la cappella con il coretto, e le finestre e tutto il
progetto di questo ambiente sono dovuti a Giovanni di Bettino. Alla decorazione
della volta e delle pareti partecipò il pittore Alesso Baldovinetti, e il
grande armadio degli argenti, incassato nella parete principale, veniva
chiuso a cateratta, da una tavola dipinta con storie della Vita di Cristo, ad
opera dell’Angelico (1453), del Baldovinetti, e della scuola dell’Angelico
(le diverse parti di questa tavola sono ora al Museo di S. Marco). Piero dei
Medici fece anche costruire adiacente al coretto un piccolo organo la cui mostra
è visibile dalla chiesa. Lo strumento che era opera di Matteo dl Paolo da Prato
non esiste più; al suo posto è ora un organo costruito da Michelangelo Paoli
nel 1842.
Tutto il coretto e rivestito fino all’altezza
delle finestre da mariti intarsiati e pietre dure, formanti cinque pannelli che
esaltano nei simboli della rosa, del giglio, della luna, del sole, della stella
la Madre di Dio. Il disegno di quest’opera è del Balatri, e l’esecuzione e
dell’Opificio fiorentino delle pietre dure (1671). Infine ne è da notare che
nel vano dell’armadio degli argenti è ora collocata una ricchissima residenza
di argento che incornicia il Salvatore di Andrea del Sarto (1515).
|