Stazio Gadio, mantovano, nacque nel 1480 e visse con pienezza i tempi
d’oro del Rinascimento. Letterato umanista ebbe, almeno dal 1505, un pre-
stigioso impiego nella cancelleria della corte dei Gonzaga, signori della sua
città. Come ambasciatore e maestro di casa nel 1510 seguì a Roma il princi-
pe Federico (1500-1540), primogenito del marchese, costretto, ancora bam-
bino, a stare in ostaggio presso la corte di Giulio II.
Rientrato in patria nel marzo 1513, dopo la morte del papa, Stazio conti-
nuò il servizio. Con Federico viaggiò a Milano (1515), a Parigi (1516), a Casa-
le Monferrato (1517) e, dopo l’ascesa del principe al marchesato, di nuovo a
Parigi (1520), con le truppe dei Gonzaga con gli Imperiali alla conquista di
Milano (1522) e in altri luoghi. Per l’opera resa alla corte ricevette terre,
onori e il titolo di conte. Morì a Mantova nel 1534 circa.
Il 24 giugno 1514, di sabato, Gadio si trovò nella splendida Firenze, proba-
bilmente come inviato di corte. In una lettera descrisse a Federico i sontuosi
festeggiamenti che si stavano tenendo per il patrono san Giovanni Battista
(1).
Il giovedì si era fatta già una grande processione, alla quale avevano par-
tecipato tutti gli ordini regolari cittadini e un'infinità di “scopatori”, nome
popolare degli appartenenti a una compagnia di Disciplinati di Firenze.
Vi avevano preso parte anche trentasei muli carichi di bambini bastardi
che si trovano in ospedale (tre per cestone – più di un centinaio) adornati
con fiori ed erbe odorose, un gran numero di balie con bambini “bastardini”
in braccio, e infine molte ragazze in età da marito.
Erano gli orfani ed esposti dell’ospedale degli Innocenti, e anche, ci sem-
bra, una delle parti più povere degli abitanti più poveri di Firenze, cioè le
giovani donne che pensiamo senza la dote necessaria per sposarsi degna-
mente. Inserendoli nella processione si voleva far vedere che la città si pren-
deva cura dei più sfortunati.
Seguiva in corteo il popolo, accorso in gran numero.
Il venerdì invece i fiorentini allestirono in piazza alcuni carri allegorici,
Gadio alle feste di San Giovanni (Firenze 1514)
rappresentanti la Maledizione degli angeli per la loro superbia, l'Annun-
ziata, l'Assunzione, il Battesimo di san Giovanni, la Resurrezione di Cristo,
l'Uscita dei Padri santi dal Limbo; su un altro carro sembrò a Gadio di veder
rappresentati un vivo, un morto e i convertiti. La Cristianità d’altronde era
scossa dalle dispute dottrinali in quanto stava affrontando l’impatto dello
scisma luterano e le asserzioni sul peccato e della giustificazione per la fede.
La stessa mattina a Firenze si era tenuta una moresca con spade “da due
mani”, fatta da trentasei persone tutte vestite con uguale livrea. Era una
sorta di ballo, corrispondente al saltare coll'arme degli antichi greci (in lati-
no era la pyrrhica).
Alle “xxi hore” Stazio si trovò a casa del Magnifico, ovvero di Lorenzo de’
Medici, figlio di Piero “il Fatuo” e nipote dell’omonimo e più celebre Lorenzo
(+ 1492). Era rientrato a Firenze grazie all'appoggio di Giulio II e Leone X
Medici (suo zio, papa dal 19 marzo 1513) e soprattutto della Lega Santa. Di
questa aveva fatto parte l’esercito spagnolo che, al comando di Raimondo
de Cardona, aveva invaso il Mugello e messo a sacco Prato (29 agosto 1512),
provocando la resa di Firenze. Lorenzo aveva ricevuto il potere sulla città il
13 agosto 1513.
Dalla casa del Magnifico, Stazio ammirò lo svolgersi di nuovi festeggia-
menti ancora più sontuosi. Vide passare tredici carri molto ben adornati: i
primi due portavano ponti, scale, corde e “lumere” e “tarconi”, zappe, badili
e scuri; il terzo recava un castello raffigurante il Campidoglio, il quarto mo-
strava la vicenda dell'oca salvatrice del Campidoglio, il quinto e il sesto era-
no carichi di spoglie dei Francesi, il settimo trasportava una figura intenta a
pesare l'oro ai soldati a similitudine di quelli che pesarono l'oro ai Francesi
durante l'assedio del Campidoglio; due altri carri erano carichi di prigionie-
ri; sul decimo era il fuoco vestale, l'undicesimo recava un altare per i sacrifici
e i sacerdoti, il dodicesimo portava una bella “credentia” d'argento e l'ultimo
portava l'allegoria di Firenze nelle sembianze di una donna, accompagnata
da cantori che intonavano lodi alla città, a Leone X e al Magnifico.
Era l’illustrazione dei famosi episodi dell’antichità su Roma e il sacco dei
Galli (387 a.C), comrpeso quello delle oche salvatrici del Campidoglio, e sul-
l’orgoglio romano contro il Vae victis di Brenno («Non auro, sed ferro, recu-
peranda est patria» – Non con l'oro, ma con il ferro, si riprende la patria). I
carri della parata per allegoria naturalmente alludevano alla sconfitta più
moderna dei francesi e di Luigi XII da parte della Lega Santa.
Seguivano a questi carri circa venticinque uomini d'arme a cavallo ricca-
mente addobbati, i quali erano probabilmente i giostratori.
La mattina seguente, sabato, fu portata l'offerta a san Giovanni. Il gonfa-
loniere uscì dal palazzo e si pose a sedere sulla tribuna al suono delle trombe
e con la berretta del gonfalonierato davanti: chiamò tutte le bandiere della
città e delle terre fiorentine presenti in piazza (circa ottanta), di modo che
una dopo l'altra sfilarono davanti alla tribuna. Nel frattempo il magnifico
Lorenzo aveva fatto l'offerta a san Giovanni ed era tornato accompagnato
da un cavallo recante una bandiera con l'aquila rossa, dei Guelfi, seguito da
tutti i trombetti di Firenze (anche questi erano circa ottanta).
Si avviarono poi i palii in processione, dietro ai quali sfilarono ventotto
edifici in forma di campanili, raffiguranti le contrade della città, preceduti
da uno della Signoria. Novantasei ceri grandi accesi furono portati da dei
facchini, seguiti dai superiori della Zecca, dal palio di San Giovanni e da un
altro palio, sostenuti entrambi da cavalli e fantini addobbati di bianco e di
rosso. Si presentarono a disputarsi la vittoria anche otto cavalli berberi, cin-
que dei quali erano del marchese di Mantova. Seguivano il gonfaloniere e il
podestà con la loro offerta.
Stazio Gadio manifestò l’ardente speranza che in serata proprio i “manto-
vani” riuscissero a vincere il palio.
Paola Ircani Menichini, 28 marzo 2020. Tutti i diritti riservati
(1) Resoconto preso (e un poco adattato) dal sito di Mantova Capitale Euro-
pea dello Spettacolo da Archivio di Stato - Archivio Gonzaga Segnatura origi-
naria: b. 1106, fasc. “1514 Toscana Diversi”, cc. 238-239