rappresentanti la Maledizione degli angeli per la loro superbia, l'Annun-
ziata, l'Assunzione, il Battesimo di san Giovanni, la Resurrezione di Cristo,
l'Uscita dei Padri santi dal Limbo; su un altro carro sembrò a Gadio di veder
rappresentati un vivo, un morto e i convertiti. La Cristianità d’altronde era
scossa dalle dispute dottrinali in quanto stava affrontando l’impatto dello
scisma luterano e le asserzioni sul peccato e della giustificazione per la fede.
La stessa mattina a Firenze si era tenuta una moresca con spade “da due
mani”, fatta da trentasei persone tutte vestite con uguale livrea. Era una
sorta di ballo, corrispondente al saltare coll'arme degli antichi greci (in lati-
no era la pyrrhica).
Alle “xxi hore” Stazio si trovò a casa del Magnifico, ovvero di Lorenzo de’
Medici, figlio di Piero “il Fatuo” e nipote dell’omonimo e più celebre Lorenzo
(+ 1492). Era rientrato a Firenze grazie all'appoggio di Giulio II e Leone X
Medici (suo zio, papa dal 19 marzo 1513) e soprattutto della Lega Santa. Di
questa aveva fatto parte l’esercito spagnolo che, al comando di Raimondo
de Cardona, aveva invaso il Mugello e messo a sacco Prato (29 agosto 1512),
provocando la resa di Firenze. Lorenzo aveva ricevuto il potere sulla città il
13 agosto 1513.
Dalla casa del Magnifico, Stazio ammirò lo svolgersi di nuovi festeggia-
menti ancora più sontuosi. Vide passare tredici carri molto ben adornati: i
primi due portavano ponti, scale, corde e “lumere” e “tarconi”, zappe, badili
e scuri; il terzo recava un castello raffigurante il Campidoglio, il quarto mo-
strava la vicenda dell'oca salvatrice del Campidoglio, il quinto e il sesto era-
no carichi di spoglie dei Francesi, il settimo trasportava una figura intenta a
pesare l'oro ai soldati a similitudine di quelli che pesarono l'oro ai Francesi
durante l'assedio del Campidoglio; due altri carri erano carichi di prigionie-
ri; sul decimo era il fuoco vestale, l'undicesimo recava un altare per i sacrifici
e i sacerdoti, il dodicesimo portava una bella “credentia” d'argento e l'ultimo
portava l'allegoria di Firenze nelle sembianze di una donna, accompagnata
da cantori che intonavano lodi alla città, a Leone X e al Magnifico.
Era l’illustrazione dei famosi episodi dell’antichità su Roma e il sacco dei
Galli (387 a.C), comrpeso quello delle oche salvatrici del Campidoglio, e sul-
l’orgoglio romano contro il Vae victis di Brenno («Non auro, sed ferro, recu-
peranda est patria» – Non con l'oro, ma con il ferro, si riprende la patria). I
carri della parata per allegoria naturalmente alludevano alla sconfitta più
moderna dei francesi e di Luigi XII da parte della Lega Santa.
Seguivano a questi carri circa venticinque uomini d'arme a cavallo ricca-
mente addobbati, i quali erano probabilmente i giostratori.
La mattina seguente, sabato, fu portata l'offerta a san Giovanni. Il gonfa-
loniere uscì dal palazzo e si pose a sedere sulla tribuna al suono delle trombe
e con la berretta del gonfalonierato davanti: chiamò tutte le bandiere della
città e delle terre fiorentine presenti in piazza (circa ottanta), di modo che
una dopo l'altra sfilarono davanti alla tribuna. Nel frattempo il magnifico
Lorenzo aveva fatto l'offerta a san Giovanni ed era tornato accompagnato
da un cavallo recante una bandiera con l'aquila rossa, dei Guelfi, seguito da